Valore e prezzo di un Amministratore Indipendente NON-EXECUTIVE DIRECTOR
Riporto un approfondimento eccellente di Marco Ventoruzzo pubblicato su LAVOCE.INFO, autore ed editore che rappresentano un’ eccezione nel panorama italiano della Governance.
In particolare, nella giurisdizioni ad alta intensità di INVESTIMENTI ESTERI come Malta e molte altre, il tema si pone con ancor maggiore rilevanza per importanza e validità, anche perchè le numerose società estere presenti, per essere compliant con le norme internazionali tributarie (vedi il caso della estero-vestizione),
devono avere un Consiglio di Amministrazione con Amministratori, in gran parte NON-EXECUTIVE DIRECTORS, residenti nella giurisdizione ove la società è domiciliata
Uno studio di Assonime sulla Corporate Governance in Italia, pubblicato poche settimane fa, ci dice che la remunerazione media dei sindaci delle società quotate italiane è pari a poco più di 50mila euro all’anno, in linea con quella degli amministratori indipendenti. Non c’è che dire, una cifra di assoluto rispetto. Ma esiste molta varianza tra le imprese: accanto a poche grandi società che offrono remunerazioni più alte, ve ne sono molte decisamente meno generose e in diversi casi il compenso del sindaco si attesta intorno ai 25mila euro. E non si tratta necessariamente di piccole società, ma talvolta anche di imprese che operano in settori ad alta complessità tecnica e legale, con frequenti rapporti con la pubblica amministrazione e che svolgono attività potenzialmente in grado di causare ingenti danni.
Non vorrei essere frainteso: 25mila euro all’anno sono una cifra considerevole. Chi scrive conosce il valore del denaro e la fatica del lavoro. Intere famiglie o solitari pensionati vivono con molto meno di quella cifra. Occorre tuttavia anche non essere ipocriti né populisti. Allora facciamo due calcoli, ad esempio per la posizione di un sindaco.
Sempre secondo i dati di Assonime, collegio sindacale e consiglio di amministrazione di una società quotata si riuniscono in media, rispettivamente, dodici e dieci volte all’anno, per un totale di circa 52 ore all’anno. Mi pare ragionevole ritenere che per svolgere bene il proprio compito, per ogni ora di riunione dell’organo societario ogni componente debba spendere almeno altrettanto tempo (in realtà, molto di più) in attività “istruttorie”: lettura di voluminosi e complessi documenti, discussioni informali con colleghi, predisposizione di report e relazioni scritti o orali, selezione di consulenti, rapporti con le autorità di controllo, studio di questioni industriali, finanziarie, contabili o giuridiche. Diciamo, con una certa prudenza, almeno altre 80 ore all’anno, circa dieci giorni di lavoro. A queste ore vanno aggiunti altri compiti, come la partecipazione ad altri comitati o a eventi aziendali di un certo rilievo. Ipotizziamo altre 25 ore all’anno, cinque mezze giornate. Con questo semplicistico calcolo arriviamo a circa 160 ore all’anno. In una società in cui il sindaco riceve 25mila euro all’anno, ciò si traduce in meno di 160 euro all’ora. Se ne prendesse 30mila arriveremmo a circa 188. Ovviamente al lordo delle imposte che sottraggono spesso quasi metà di quella cifra. E sono conti che sottostimano l’impegno orario necessario.
Per un affermato professionista con anni di esperienza alle spalle, che ha investito molto tempo e danari in formazione, meno di 190 euro all’ora non è una cifra particolarmente generosa. Per fare solo alcuni esempi, le tariffe professionali suggerite dall’ordine degli avvocati di una media città di provincia italiana nel 2012 indicano per l’attività di consulenza stragiudiziale un compenso minimo di 150 euro all’ora, che salgono a 300 se il professionista deve fare una trasferta di oltre 50 chilometri. Per attività di gestione amministrativa su incarico giudiziale, poi, non si deve scendere sotto i 500 euro all’ora. Un professore universitario che tiene una relazione di un’ora in un corso di formazione a pagamento prende tra i 300 e i 400 euro. Un’ora di attività di un giovane avvocato di uno studio internazionale viene fatturata ai clienti circa 200 euro. Un buon parrucchiere da signora di Milano per colore, taglio e piega difficilmente prende meno di 120 euro. Insomma, 160 euro all’ora non sono pochi in assoluto, ma la valutazione cambia facendo un realistico confronto con altre attività professionali.
E il punto importante, ovviamente, non è certo la remunerazione oraria. Se in questo calcolo si computano i notevoli rischi di responsabilità amministrativa e penale ai quali si espongono anche gli amministratori e sindaci più scrupolosi e corretti, il quadro muta ancora.
Anche per una società quotata di piccole o medie dimensioni non è certo un problema pagare tre o quattro persone 50mila euro anziché 25mila. Se invece si pone un problema di costi totali per l’emittente, le società possono risparmiare attraverso organi meno pletorici, più snelli, ma con singole posizioni meglio remunerate, così da attrarre risorse migliori, creare più virtuosa competizione per gli incarichi e poter pretendere una maggiore dedizione dagli incaricati.